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CHRIS RICHMOND N’ZI: una realizzazione professionale che valorizza i migranti

Chris è CEO e founder di Mygrants, una start-up che ha creato un’app per rifugiati e richiedenti asilo che arrivano in Italia, per favorire l’emersione del talento inespresso dei migranti tramite un percorso di formazione, in grado sia di mappare e rafforzare le competenze pregresse e sia di farne acquisire di nuove. L’app oggi conta 44’000 Trainees in 12 regioni d’Italia e 12’000 in Africa, molti dei quali hanno anche aperto una loro impresa.

Chris ha 33 anni, è nato in Costa d’Avorio, cresciuto tra Europa e Stati Uniti, ha studiato Diritto internazionale e diplomazia in Svizzera e dopo aver lavorato per Frontex  (L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), ha deciso di dare vita alla sua impresa.

Quali sono le ragioni che ti hanno spinto a creare Mygrants? Da dove è partita l’idea?

Ho sviluppato l’idea di Mygrants mentre lavoravo in Commissione Europea per Frontex dal 2010 al 2015. In quegli anni ho avuto modo di approfondire e monitorare – mediante l’uso dei dati – tutti quei fattori che possono essere all’origine dei flussi migratori verso i confini esterni dell’Unione europea e, mediante data mining, anticipare – con report mensili, semestrali e annuali – l’evoluzione dei flussi migratori negli anni a venire. Nel tempo libero collaboravo con enti che si occupavano di accoglienza di immigrati e così, preso atto che le soluzioni in essere non erano idonee a rispondere alle esigenze dei migranti, insieme alla mia co-founder, Aisha Coulibaly, abbiamo scelto di metterci in gioco creando Mygrants. Ho dato le dimissioni e ho fatto delle ricerche di mercato, per capire quali fossero le problematiche reali e trovare una soluzione adatta.

L’idea nasce dalla certezza che tra i migranti giunti in Italia c’era e c’è del potenziale talento inespresso. Mappando le competenze, le attitudini, gli interessi, il background, la disciplina, il talento e il potenziale degli immigrati, Mygrants è in grado (grazie ai dati raccolti e analizzati) di far emergere questo talento e agevolare il passaggio dallo stato di dipendenza a quello di emancipazione.

Abbiamo deciso di usare uno strumento digitale  perché il 90% dei migranti che arriva in Italia ha meno di 35 anni, questo vuol dire che è un nativo digitale. Abbiamo poi sviluppato l’app sotto forma di quiz in modo da rendere il percorso di formazione più ingaggiante per i trainees che “giocando” acquisiscono e rafforzano le competenze non solo in base ai loro interessi e alle loro attitudini, ma anche in base al fabbisogno occupazionale nazionale, regionale e locale.

E il tuo team, com’è nato? Come si è costruita la tua squadra?

All’inizio eravamo in due, adesso siamo più di dieci, e all’interno del team ci sono migranti, titolari di status, alcuni dei quali sono stati scelti dall’app! Anche le competenze dei membri italiani del team sono state valutate tramite l’app, da cui, ad esempio, è emersa la loro conoscenza del tema dell’immigrazione. L’ultima arrivata nel team è una ragazza di origine brasiliana che vive in Germania, con competenze sul mondo dell’educazione e del digitale, che ha scelto di effettuare in Mygrants un’esperienza lavorativa con il programma Erasmus for Young Entrepreneurs.

Il percorso dall’implementazione dell’idea fino ad oggi immagino che abbia avuto alti e bassi, hai incontrato delle difficoltà? E invece, quali sono le cose più belle che ti danno la forza di continuare l’avventura Mygrants?

Sì, abbiamo avuto tante difficoltà. A livello tecnologico le difficoltà maggiori le abbiamo incontrate per capire che forma dare allo strumento. Abbiamo iniziato con un prototipo per validare l’idea, una web app wordpress, con la quale abbiamo incontrato numerose sfide come la sovrapposizione delle lingue dei moduli quiz, e infine abbiamo sviluppato l’app. Dall’altro lato, è stato difficile lavorare con molti (non tutti) gli enti gestori dell’accoglienza. Molto spesso è stato complesso fargli capire l’utilità e i benefici derivanti dal nostro strumento e in alcuni casi ci siamo resi conto che non erano disposti ad investire seriamente sulla formazione dei loro beneficiari.

Ci sono però anche tante belle cose che ci danno la forza di continuare. Vedere i trainees che usano l’app più di 240 minuti, quindi, 4 ore al giorno è una grande soddisfazione, così come vedere diversi enti gestori che hanno voglia di migliorare la situazione dei loro beneficiari o le numerose aziende che si rivolgono a noi per cercare talenti e colmare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro.

Ma soprattutto, vedere che nonostante le difficoltà i ragazzi vogliono continuare a sognare, come nel caso di alcuni Trainees che pur avendo ricevuto proposte di contratto a tempo indeterminato, hanno preferito rifiutare perché hanno un sogno da realizzare e hanno fiducia in loro stessi. Molti vogliono creare opportunità invece di trovare lavoro e basta. Per noi aiutare chi ha competenze e determinazione è un piacere infinito.

Hai detto che nel tuo team ci sono dei migranti, ti vorrei chiedere: secondo te qual è il miglior modo di integrare una rifugiato o un migrante in una comunità?

Per me il miglior modo di includerli è capire che sono un valore aggiunto per la comunità. Basti pensare, ad esempio, che gli immigrati rappresentano il 3% della popolazione mondiale e producono più del 9% del PIL globale o che, da un lato l’Europa affronta quotidianamente il problema del mismatch tra domanda e offerta di lavoro e dall’altro, il numero dei giovani africani che entro il 2035 entrerà nell’età lavorativa sarà superiore a quello del resto del mondo sommato. A dimostrazione di questo potrei raccontarvi la storia di uno dei nostri Trainees, un ragazzo tunisino, ingegnere informatico che da poco è stato inserito in un’azienda del bolognese, in cerca proprio di un ingegnere informatico, che però sapesse parlare correttamente arabo, inglese, italiano e francese.

Se dovessi dare un consiglio ai giovani che hanno un progetto d’impresa, che consiglio daresti?

Di lasciar perdere. No scherzo! Direi di essere preparati a tutto, di provare a risolvere un problema specifico reale, non un’idea disconnessa dalla realtà (molti si fanno un’idea sbagliata di quali sono i veri bisogni). Bisogna individuare il “Must to have” non il “nice to have”. Per questo bisogna fare bene l’analisi di mercato, guardare anche come altri hanno cercato di risolvere il problema, e come funziona il mercato. Quando hai un’idea in mente è probabile che altri ci abbiano già pensato, bisogna capire quali sono i propri punti forti, il valore aggiunto e come poter raggiungere i propri obiettivi. Per fare questo è molto utile analizzare il contesto per sapere dove ti posizioni.

Per finire, ci vuole coraggio, determinazione, e pazienza perché a volte i risultati arrivano solo dopo un lungo processo.

*Florence Briot

Italiani bella gente

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